Tradizione musicale

La Cappella musicale di San Marco nasce agli inizi del XIV secolo e da subito diventa il centro della vita musicale veneziana nella quale si sviluppano stili e modi di pensare la musica adatti alla magnificenza della Basilica.
Nella seconda metà del ‘500, nasce all’interno della Cappella un nuovo pensiero musicale che la pone improvvisamente al centro dell’attenzione europea e che porta ad un radicale cambiamento del pensiero musicale.

Alla vita della Cappella partecipano i più grandi compositori del momento, Adrian Willaert, Claudio Merulo, Andrea e Giovanni Gabrieli, Claudio Monteverdi, nascono così i “cori spezzati”, le sonate ad eco e, soprattutto, si definisce un nuovo modo di relazionare musica e parola e, con l’aiuto di nuove tecniche strumentali, si evolve una nuova concezione del suono.

La storia

È solo a partire dalla seconda metà del Cinquecento che gli strumenti musicali (oltre all’organo) assumono un ruolo stabile nelle funzioni liturgiche con particolare predilezione, a San Marco, per gli strumenti a fiato. Da allora prese inizio una nuova concezione musicale che mise sullo stesso piano le due realtà tecniche del canto e della musica strumentale. In basilica si sperimentano le molteplici combinazioni strumentali e vocali, in particolare con Andrea Gabrieli.

Approfondimenti

La storia della civiltà musicale veneziana corre parallela alla storia della Cappella musicale di San Marco e alla vita culturale che in essa si sviluppa.

Dopo la consacrazione della basilica (1094) la prima notizia significativa in ambito musicale risale all’8 giugno 1316, anno di stesura di una carta d’archivio in cui si legge: “Desemo a Maestro Zucchetto ducati 10 per conzamento degl’organi grandi de San Marco li quali era vastadi”. Questa data segna l’inizio della ‘prima età’ musicale della basilica, segnata dalla presenza di quattordici organisti.

Con decreto dei pregadi (i senatori) risalente al del 18 giugno 1403 la Cappella di San Marco divenne anche scuola musicale. Inizialmente vi erano ammessi “otto putti veneti diaconi”, ricompensati con un ducato al mese, per imparare “a cantar bene”.

È nel 1489 che nella cantoria di sinistra sovrastante l’altar maggiore viene collocato l’organo (detto primo) costruito da Fra Urbano, inaugurato il 20 agosto dell’anno successivo con un concerto di Francesco Dana.

Questo breve periodo, considerato comunemente ‘seconda epoca’, è caratterizzato dalla presenza contemporanea di due organisti, a cui, nel 1491 si aggiunse l’importante figura del Maestro di cappella (il primo dei quali fu il fiammingo Pietro de Fossis), che ebbe anche il compito di istruire i cantori, utilizzando la chiesa di San Teodoro, ricadente nel compendio marciano. È l’inizio della cosiddetta ‘terza epoca’.

Con la morte del maestro fiammingo avvenuta nel 1527 l’incarico passò ad Adrian Willaert, anch’esso di origine fiamminga e considerato il fondatore della scuola musicale veneziana, che lo ricoprì fino al 1562, anno della sua scomparsa.

Una seconda scuola di canto a servizio della basilica venne istituita nel 1577 con sede presso il Seminario di San Marco; dal 1580 ebbe sede nel palazzo del Primicerio e dei Canonici.

Nel 1591 il seminario ducale venne trasferito nella chiesa – ora scomparsa – di Sant’Antonio di Castello, occupando la fabbrica detta Spedale di Messer Gesù Cristo.

Nel frattempo Baldassare Donato, già maestro di canto, venne nominato Maestro di Cappella in San Marco. Tra le clausole riguardanti la sua elezione gli fu assegnato l’obbligo di insegnare ai chierici del seminario il canto figurato, il canto fermo e il contrappunto.

Le due scuole furono molto attive, frequentate da ottimi allievi. Istituite l’una per gli “zaghi di chiesa” e l’altra per gli “allievi del seminario ducale” formarono cantori, suonatori e compositori ambiti da tutto il mondo musicale del tempo.

I più famosi allievi di Adriano Willaert non sono veneziani: Cipriano de Rore è fiammingo, Gioseffo Zarlinochioggiotto, Costanzo Porta di Cremona, Claudio Merulo di Correggio, Francesco della Viola di Ferrara e Andrea Vicentino di Vicenza.
Due geniali compositori, veneziani di nascita: Baldassare Donato e Andrea Gabrieli, si pongono a capo della nuova “Scuola veneziana” e seguono un indirizzo fortemente innovativo.
Zarlino, che non vede favorevolmente la sua didattica, opera in modo da sciogliere la Cappella piccola, nella quale proprio Donato porta avanti le nuove idee musicali. Il conflitto tra il Maestro di Cappella Zarlino e Donato scoppia clamorosamente e pubblicamente nella sagra di San Marco, solenne giornata di festività, con la dimostrazione dei cantori e la loro ribellione alle disposizioni superiori.
La vivace opposizione di Baldassare Donato prosegue con l’attività di un suo epigono, Giovanni Croce, da lui stesso istruito al canto e alla composizione. L’opera crociana si sviluppa sotto l’impronta del maestro soprattutto nella scrittura madrigalistica, mottettistica e per doppio coro. A otto anni nel 1565 viene presentato come contralto per essere accolto nella Cappella marciana, allora sotto lo Zarlino. In qualità di cantore usufruisce dell’insegnamento della musica dato ai ragazzi nella Cappella piccola di Donato. All’età di dodici anni assiste al citato incidente tra il suo maestro e Zarlino. Nel 1594 viene nominato vice maestro su suggerimento del Donato, passato intanto a condurre la Cappella dopo la morte dello Zarlino.
Il Doge Marino Grimani, alla scomparsa di Donato, vuole un successore energico e severo, che sarà individuato proprio nella persona del Croce.

L’altro caposcuola, Andrea Gabrieli, opera col Donato in favore di un’evoluzione del pensiero musicale. Il Gabrieli tiene lezioni di organo e di composizione a San Geremia. In seguito con la nomina in San Marco si stabilisce a San Samuele, dove continua l’importante attività didattica.
Per una curiosa coincidenza i tre musicisti, che operano sulla scia di Donato e di Andrea Gabrieli, si chiamano tutti e tre Giovanni: Croce, Bassano e Gabrieli. La vitalità della corrente che questi tre musicisti rappresentano opera una serie di pressioni sull’ambiente veneziano, tanto che costringono Cipriano de Rore, il nuovo maestro fiammingo eletto nella basilica di San Marco, a lasciare l’incarico ed a passare al servizio di Ottavio Farnese, duca di Parma e di Piacenza. La stessa situazione si verifica con Claudio Merulo, che nell 1584 deve trasferirsi a Parma con la famiglia.
Zarlino, comunque, rimane una figura carismatica dell’ambiente musicale veneziano, che rappresenta con grande autorità sia ufficialmente sia nella sua attività di compositore e di teorico.
La “quarta epoca” musicale della basilica, caratterizzata da un Maestro, un Vice Maestro e due organisti, raggiunge il suo massimo splendore con Claudio Monteverdi, che abbandona la corte mantovana per sostituire Giulio Cesare Martinengo nel 1613. In San Marco egli si adopera attivamente per migliorare l’attività della Cappella, e molto scrive appositamente per essa, senza per questo rinunciare a commissioni fatte da altri centri musicali veneziani. I successori di Monteverdi svilupparono le sue intuizioni e tutto il XVII secolo si svolse avendo il musicista cremonese come punto di riferimento irrinuciabile.
La “quinta epoca” caratterizzata da un forte presenza strumentale all’interno della basilica si apre con il nuovo secolo. Principali operatori sono Antonio Lotti e Antonio Biffi, ma compositori del calibro di Benedetto Marcello e soprattutto di Antonio Vivaldi non sono lontani e fanno sentire la loro importante influenza. Caratteristica dei musicisti della cappella sarà sempre più la sperimentazione di nuovi ambiti sonori in anticipo sui tempi. Il secolo si conclude sotto la guida di un maestro e compositore di grande fama Baldassarre Galuppi detto “il buranello”.
La caduta della Serenissima, nel 1797, vede un forte ridimensionamento dell’importanza della Cappella. Pur rimanendo una vivacissima compagine, caratterizzata sempre da una produzione instancabile di nuove musiche, la Marciana diventa cappella patriarcale e la nuova gestione curiale non sempre si dimostra generosa nei confronti di questa antica e gloriosa istituzione. Il XIX trascorre tra restrizioni di ogni tipo. L’orchestra si riduce gradualmente fino a scomparire alla fine del secolo e la cappella viene privata della voci acute. Con Antonio Buzzolla, attivo in basilica dal 1850 al 1870, inizia la “sesta epoca” caratterizzata da un desiderio di ritorno al passato e da un graduale ma inesorabile rifiorire della musica a cappella accompagnata dal solo organo. Nel 1890 viene aggiunta una formazione di voci bianche che permette l’esecuzione delle antiche musiche cinquecentesche. Anche qui, come in tutta Europa, viene riscoperto il fascino del gregoriano, e i nuovi compositori, primo fra tutti il giovane Lorenzo Perosi, attivo a S. Marco dal 1894 al 1898, propongono un nuovo modo di scrivere musica, più austero e più vicino all’antico patrimonio monodico cristiano.

La particolare posizione geopolitica di Venezia, la continua serie di scambi con le varie culture europee e mediterranee, ha reso la Cappella di San Marco un punto di riferimento universalmente riconosciuto per un lungo lasso di tempo, il che contribuì indiscutibilmente a rendere la Serenissima una delle capitali mondiali della musica. Dalla seconda metà del ‘500 fino a buona parte del ‘700 Venezia fu una capitale della musica se non “la Capitale”.
Ma la funzione propositrice di idee sempre nuove, rimarrà anche in seguito una costante della Cappella Marciana. Questa singolare formazione è una delle poche rimaste in Italia ad eseguire regolarmente polifonia di pregio durante l’ufficio liturgico, in continuità con la propria tradizione.
Da secoli essa presenzia regolarmente alle più importanti funzioni della Basilica senza soluzione di continuità e questo patrimonio culturale, questo modus cantandi si perpetua in uno stile inconfondibile che si alimenta continuamente sotto le volte di San Marco alla fonte del carisma dell’Evangelista artista.
La Cappella Marciana è uno dei simboli viventi della tradizione musicale occidentale. Consci di questo, i suoi maestri, a partire dal XIX secolo, hanno iniziato un’opera di recupero del patrimonio più antico, nato anche all’interno di essa, con l’intento di restituire a mantenere vivo l’enorme bagaglio che ci consegna il passato. Chi frequenta la Basilica oggi, può ascoltare musica scritta a partire da otto secoli fa fino ad arrivare a quella di poche settimane di vita.
Attualmente: Maestro di Cappella è Marco Gemmani, Primo organista Pierpaolo Turetta.

Cori e strumenti

La storia della cappella musicale di San Marco rispecchia gran parte degli sviluppi della civiltà veneziana.
Dopo la consacrazione della basilica (1094), la “prima epoca musicale” è caratterizzata dalla presenza di quattordici organisti. Tra il 1489-90 i due organisti Fra Urbano e Francesco Dana segnano la “seconda epoca musicale” con l’inaugurazione dell’organo di sinistra. Presto si aggiunge la figura del Maestro di Cappella Pietro de Fossis che, nel 1491, da inizio alla cosiddetta “terza epoca musicale“.
Dopo la morte del maestro fiammingo, la schola cantorum viene affidata ad Adriano Willaert. Tra i suoi migliori allievi ricordiamo Cipriano de Rore, Gioseffo Zarlino, Costanzo Porta, e Claudio Merulo. Una spinta fortemente innovativa, viene data dai compositori di origine veneziana Baldassarre Donato e Andrea Gabrieli, considerati i fondatori della cosiddetta “Scuola veneziana”, che diventerà il nuovo punto di riferimento della musica europea. Il loro percorso verrà approfondito dalla celebre terna dei “Giovanni”: Gabrieli nipote di Andrea, Bassano e Croce, i quali daranno voce e suono al momento di maggiore splendore della civiltà veneziana.
La “quarta epoca musicale” raggiunge il suo massimo splendore con Claudio Monteverdi, uno dei massimi geni musicali in senso assoluto. Unitamente a suoi allievi, tra cui spiccano Giovanni Rovetta e Francesco Cavalli, e ai propri collaboratori, Alessandro Grandi e Francesco Usper, il nome di Monteverdi supera abbondantemente i confini della Repubblica.
La “quinta epoca” è caratterizzata dalla presenza in basilica di compositori della levatura di Antonio Lotti e Baldassarre Galuppi che continuano a diffondere ovunque, con le proprie composizioni, il pensiero musicale veneziano.
Con la caduta della Serenissima (1797), la Cappella, pur non perdendo la propria continuità, vede una drastica riduzione della propria leadership nel panorama musicale europeo. Il XIX secolo, in cui si può dire inizi l’ultimo periodo, trascorre sotto la guida dei maestri Giovanni Perotti, Antonio Buzzolla, del venezianoNicolò Coccon e infine del giovane Lorenzo Perosi che influenzerà fortemente le produzioni del XX secolo. Nel 1974 la Cappella rischia la totale paralisi a causa dello scioglimento voluto della Procuratoria della basilica stessa. Solo la costanza e la buona volontà dei cantori, presenti ancora oggi, e dei maestri Alfredo Bravi e Roberto Micconi, hanno permesso alla cappella di sopravvivere.

APPROFONDIMENTI

Nella prima metà del XVI secolo, in basilica, durante le feste solenni vengono utilizzati, oltre all’organo, anche altri strumenti. Questi, però, non hanno un ruolo stabile nelle funzioni liturgiche, ma vengono impiegati solo in particolari occasioni. Hanno un posto fisso ed ufficiale nella cappella solo a partire dalla seconda metà del ‘500.
Negli ultimi decenni del secolo è ampiamente certificata la partecipazione degli strumenti alla musica liturgica, ed è altresì copiosamente documentata la predilezione da parte della basilica di San Marco per i gruppi strumentali a fiato.
A Venezia alla fine del ‘400 e all’inizio del ‘500 i cantori sono anche sonatori e quindi, se necessario, invece di eseguire vocalmente la parte possono allo stesso modo suonarla.
Giovanni Gabrieli nelle spiegazioni premesse ai suoi “Concerti” del 1587 scrive di “Musiche proportionate a voci, et Stromenti, come oggidì s’usa nelle principali Chiese de Principi et nelle Academie Illustri“, da cui è lecito dedurre che l’uso degli strumenti nel servizio liturgico rappresenti una novità limitata alle chiese più importanti.
Nei documenti non si accenna mai ad una esecuzione puramente strumentale, anzi tutti gli elementi fanno pensare ad un impiego degli strumenti a sostegno delle voci o ad un insieme misto vocale e strumentale.

Nel famoso dipinto di Gentile Bellini Processione della croce in piazza di San Marco figurano gruppi di strumentisti a fiato con cornetti e tromboni, un gruppo vocale con un suonatore di viola da brazzo e un liutista. Nelle processioni l’organo non può naturalmente essere impiegato e di conseguenza ciò favorisce l’esecuzione del complesso strumentale. La partecipazione degli strumenti a fiato in tali occasioni non è documentata negli atti dei registri di San Marco, in quanto i contratti spesso vengono stipulati oralmente
Nelle musiche religiose all’aperto le esecuzioni sono sempre miste, vocali e strumentali, ed è quindi da escludere l’uso di forme musicali solo per strumenti, tipo i ricercari e quelle relative ad essi. I ricercari, come la canzon da sonare e i capricci, sono forme essenzialmente cameristiche, rivolte ad un pubblico ristretto. La loro natura deriva dal piacere stesso degli esecutori. In seguito si passa, come si dice comunemente, “dalla camera alla chiesa” quindi ad un ambiente più vasto e spazioso e le nuove composizioni risentono del cambio d’interlocutore.

In San Marco si sperimentano le molteplici combinazioni strumentali, gli effetti sonori e le grandi architetture formali. Potenti strumenti a fiato sono selezionati in diversi gruppi di quattro o cinque parti e spesso vengono contrapposti tra di loro. Gli insiemi dialogano, si fondono, sì contrastano in differenziate combinazioni. A volte le parti raggiungono raggruppamenti molto numerosi. In qualche occasione vengono introdotti anche strumenti ad arco, sia pure in numero assai limitato e raramente anche i liuti. S’intensificano gli urti e si accrescono le opposizioni dei cori per ottenere un gioco coloristico proiettato verso il massimo splendore.
La scelta degli strumenti e delle voci dipende dalla tipologia dei brani da eseguire. Non solo vengono mescolati gruppi vocali e gruppi strumentali, ma addirittura si uniscono voci e strumenti all’interno dello stesso coro. Anche le “Symphonie Sacrae” di Giovanni Gabrieli del 1615 possono eseguirsi “tam vocibus quam instrumentis“, ma qui gli strumenti non rinforzano le voci, bensì sì inseriscono nel dialogo e svolgono in molti casi una parte autonoma.
Gabrieli giunge ad una scrittura policorale senza pervenire ad una frattura con il passato, raggiungendo una nuova sensibilità vocale e strumentale, innestandosì vigorosamente sulle esperienze musicali passate e coeve. Non vi è rottura con la tradizione precedente, bensì introduzione di nuovi colori, timbri e multiple associazioni sonore.
Grazie al suo apporto, il linguaggio strumentale si equipara in modo definitivo a quello vocale. Dopo di lui le composizioni strumentali vengono di regola pubblicate indipendentemente dalla produzione vocale e in numero sempre maggiore. Gli strumenti sostituiscono gradualmente le voci e, già alla fine del XVII secolo le forme totalmente strumentali abbondano in basilica.
Le forme policorali sopravvivono a S. Marco e vengono alimentate da nuove realizzazioni fino alla caduta della Repubblica (1797).
Una formazione strumentale attiva particolarmente a Palazzo Ducale, ma presente in basilica nelle occasioni più importanti, è attiva ed ha un suo “maestro dei concerti” già nel ‘500. Questa compagine diverrà sempre più una vera e propria orchestra interna alla Basilica che si manterrà molto attiva fino alla fine del XIX secolo.