Cori e strumenti

La storia della cappella musicale di San Marco rispecchia gran parte degli sviluppi della civiltà veneziana.
Dopo la consacrazione della basilica (1094), la “prima epoca musicale” è caratterizzata dalla presenza di quattordici organisti. Tra il 1489-90 i due organisti Fra Urbano e Francesco Dana segnano la “seconda epoca musicale” con l’inaugurazione dell’organo di sinistra. Presto si aggiunge la figura del Maestro di Cappella Pietro de Fossis che, nel 1491, da inizio alla cosiddetta “terza epoca musicale“.
Dopo la morte del maestro fiammingo, la schola cantorum viene affidata ad Adriano Willaert. Tra i suoi migliori allievi ricordiamo Cipriano de Rore, Gioseffo Zarlino, Costanzo Porta, e Claudio Merulo. Una spinta fortemente innovativa, viene data dai compositori di origine veneziana Baldassarre Donato e Andrea Gabrieli, considerati i fondatori della cosiddetta “Scuola veneziana”, che diventerà il nuovo punto di riferimento della musica europea. Il loro percorso verrà approfondito dalla celebre terna dei “Giovanni”: Gabrieli nipote di Andrea, Bassano e Croce, i quali daranno voce e suono al momento di maggiore splendore della civiltà veneziana.
La “quarta epoca musicale” raggiunge il suo massimo splendore con Claudio Monteverdi, uno dei massimi geni musicali in senso assoluto. Unitamente a suoi allievi, tra cui spiccano Giovanni Rovetta e Francesco Cavalli, e ai propri collaboratori, Alessandro Grandi e Francesco Usper, il nome di Monteverdi supera abbondantemente i confini della Repubblica.
La “quinta epoca” è caratterizzata dalla presenza in basilica di compositori della levatura di Antonio Lotti e Baldassarre Galuppi che continuano a diffondere ovunque, con le proprie composizioni, il pensiero musicale veneziano.
Con la caduta della Serenissima (1797), la Cappella, pur non perdendo la propria continuità, vede una drastica riduzione della propria leadership nel panorama musicale europeo. Il XIX secolo, in cui si può dire inizi l’ultimo periodo, trascorre sotto la guida dei maestri Giovanni Perotti, Antonio Buzzolla, del venezianoNicolò Coccon e infine del giovane Lorenzo Perosi che influenzerà fortemente le produzioni del XX secolo. Nel 1974 la Cappella rischia la totale paralisi a causa dello scioglimento voluto della Procuratoria della basilica stessa. Solo la costanza e la buona volontà dei cantori, presenti ancora oggi, e dei maestri Alfredo Bravi e Roberto Micconi, hanno permesso alla cappella di sopravvivere.

APPROFONDIMENTI

Nella prima metà del XVI secolo, in basilica, durante le feste solenni vengono utilizzati, oltre all’organo, anche altri strumenti. Questi, però, non hanno un ruolo stabile nelle funzioni liturgiche, ma vengono impiegati solo in particolari occasioni. Hanno un posto fisso ed ufficiale nella cappella solo a partire dalla seconda metà del ‘500.
Negli ultimi decenni del secolo è ampiamente certificata la partecipazione degli strumenti alla musica liturgica, ed è altresì copiosamente documentata la predilezione da parte della basilica di San Marco per i gruppi strumentali a fiato.
A Venezia alla fine del ‘400 e all’inizio del ‘500 i cantori sono anche sonatori e quindi, se necessario, invece di eseguire vocalmente la parte possono allo stesso modo suonarla.
Giovanni Gabrieli nelle spiegazioni premesse ai suoi “Concerti” del 1587 scrive di “Musiche proportionate a voci, et Stromenti, come oggidì s’usa nelle principali Chiese de Principi et nelle Academie Illustri“, da cui è lecito dedurre che l’uso degli strumenti nel servizio liturgico rappresenti una novità limitata alle chiese più importanti.
Nei documenti non si accenna mai ad una esecuzione puramente strumentale, anzi tutti gli elementi fanno pensare ad un impiego degli strumenti a sostegno delle voci o ad un insieme misto vocale e strumentale.

Nel famoso dipinto di Gentile Bellini Processione della croce in piazza di San Marco figurano gruppi di strumentisti a fiato con cornetti e tromboni, un gruppo vocale con un suonatore di viola da brazzo e un liutista. Nelle processioni l’organo non può naturalmente essere impiegato e di conseguenza ciò favorisce l’esecuzione del complesso strumentale. La partecipazione degli strumenti a fiato in tali occasioni non è documentata negli atti dei registri di San Marco, in quanto i contratti spesso vengono stipulati oralmente
Nelle musiche religiose all’aperto le esecuzioni sono sempre miste, vocali e strumentali, ed è quindi da escludere l’uso di forme musicali solo per strumenti, tipo i ricercari e quelle relative ad essi. I ricercari, come la canzon da sonare e i capricci, sono forme essenzialmente cameristiche, rivolte ad un pubblico ristretto. La loro natura deriva dal piacere stesso degli esecutori. In seguito si passa, come si dice comunemente, “dalla camera alla chiesa” quindi ad un ambiente più vasto e spazioso e le nuove composizioni risentono del cambio d’interlocutore.

In San Marco si sperimentano le molteplici combinazioni strumentali, gli effetti sonori e le grandi architetture formali. Potenti strumenti a fiato sono selezionati in diversi gruppi di quattro o cinque parti e spesso vengono contrapposti tra di loro. Gli insiemi dialogano, si fondono, sì contrastano in differenziate combinazioni. A volte le parti raggiungono raggruppamenti molto numerosi. In qualche occasione vengono introdotti anche strumenti ad arco, sia pure in numero assai limitato e raramente anche i liuti. S’intensificano gli urti e si accrescono le opposizioni dei cori per ottenere un gioco coloristico proiettato verso il massimo splendore.
La scelta degli strumenti e delle voci dipende dalla tipologia dei brani da eseguire. Non solo vengono mescolati gruppi vocali e gruppi strumentali, ma addirittura si uniscono voci e strumenti all’interno dello stesso coro. Anche le “Symphonie Sacrae” di Giovanni Gabrieli del 1615 possono eseguirsi “tam vocibus quam instrumentis“, ma qui gli strumenti non rinforzano le voci, bensì sì inseriscono nel dialogo e svolgono in molti casi una parte autonoma.
Gabrieli giunge ad una scrittura policorale senza pervenire ad una frattura con il passato, raggiungendo una nuova sensibilità vocale e strumentale, innestandosì vigorosamente sulle esperienze musicali passate e coeve. Non vi è rottura con la tradizione precedente, bensì introduzione di nuovi colori, timbri e multiple associazioni sonore.
Grazie al suo apporto, il linguaggio strumentale si equipara in modo definitivo a quello vocale. Dopo di lui le composizioni strumentali vengono di regola pubblicate indipendentemente dalla produzione vocale e in numero sempre maggiore. Gli strumenti sostituiscono gradualmente le voci e, già alla fine del XVII secolo le forme totalmente strumentali abbondano in basilica.
Le forme policorali sopravvivono a S. Marco e vengono alimentate da nuove realizzazioni fino alla caduta della Repubblica (1797).
Una formazione strumentale attiva particolarmente a Palazzo Ducale, ma presente in basilica nelle occasioni più importanti, è attiva ed ha un suo “maestro dei concerti” già nel ‘500. Questa compagine diverrà sempre più una vera e propria orchestra interna alla Basilica che si manterrà molto attiva fino alla fine del XIX secolo.