La decorazione delle facciate
L’esterno della basilica di San Marco è caratterizzato nella parte superiore dal profilo delle cupole rialzate, costruzioni lignee rivestite di lastre di piombo sovrapposte nel XIII secolo alle cupole in mattoni. Il profilo delle facciate è cinto dal coronamento gotico, raffigurante edicole, statue e decorazioni floreali, realizzato tra il XIV e il XV secolo da Nicolò e Pietro Lamberti con altri artisti toscani.
Il corpo inferiore della basilica, inizialmente destinato a rimanere con i mattoni a vista, viene rivestito di marmo lungo i lati, dove si aprono le tre facciate, settentrionale, occidentale, meridionale. Questo avviene, dopo la conquista di Costantinopoli nel 1204, grazie alla grande quantità di marmi preziosi orientali, di colonne, capitelli e rilievi che arrivano dalla capitale dell’Impero romano d’oriente e che suggerisce ai Veneziani il prezioso rivestimento delle tre facciate. Le tre facciate di San Marco, a Nord, a Ovest e a Sud – a Est l’abside è stata inglobata nel palazzo ducale – sono concepite in modo assai diverso dal punto di vista delle loro funzioni e pertanto anche da quello della decorazione.

La facciata occidentale è scandita da quattro grandi portali del XII secolo e dalla finestra della cappella Zen; a ciascuno di questi corrisponde una lunetta nel registro superiore. Il più importante è sicuramente il portale maggiore, capolavoro della scultura del XIII secolo. Nel rivestimento marmoreo sono incastonate alcune lastre bizantine scolpite: San Giorgio e san Demetrio, l’Annunciazione, le fatiche di Ercole.

La facciata meridionale ospitava anticamente la “porta da mar”, grande portale che immetteva nell’atrio occidentale direttamente dal molo. Dal XVI secolo questa apertura viene chiusa da una transenna marmorea per la costruzione all’interno della cappella Zen. Il rivestimento di marmi e colonne con numerosi frammenti di decorazione del XIII sec., avvolge anche l’architettura del Tesoro, tra la basilica e il palazzo ducale. Infissa sull’angolo si trova la scultura in porfido dei Tetrarchi, mentre davanti alla porta del battistero si trovano i due pilastri detti acritani ma provenienti da Costantinopoli, riccamente decorati.

La facciata settentrionale si affaccia sulla piazzetta dei leoncini, con lo stesso schema delle altre due. Pur apparendo meno ricca di elementi decorativi, conserva alcune bellissime lastre del XIII secolo (Cristo e i quattro evangelisti) in prossimità della porta dei fiori, a sua volta sormontata da un’elegante scultura con la scena della Natività.

La facciata settentrionale, sulla piazzetta dei Leoncini, ha un carattere intimo e privato, in contrasto col ruolo ufficiale e di rappresentanza svolto da quelle verso la piazza e verso il mare.
Oltre alla recente tomba di Daniele Manin (1875), che occupa la grande nicchia sulla testata del transetto, e ad una trifora aperta nel Trecento nell’arcata a destra della Porta dei Fiori, anche la decorazione plastica è stata arricchita notevolmente, trasformando nettamente il programma originale.

Delle aggiunte fanno parte, prima di tutto, le bellissime lastre del XIII sec. con Cristo e i quattro Evangelisti in prossimità della Porta dei Fiori. Quest’ultima è sormontata da un’elegante scultura con la scena della Natività delimitata da due sottarchi scolpiti con angeli e Profeti, e una specie di processione di figure a mezzo busto comprendente Cristo, Maria, santi e sante raffigurati singolarmente o a gruppi di tre e affiancati da Angeli e da croci. Sulla sommità continua il coronamento gotico con decorazioni floreali, figure di virtù e di padri della chiesa.
Come aggiunte posteriori vanno viste anche le due icone scolpite per l’altare di San Giovanni Evangelista e del San Leonardo, sistemate nella loro collocazione attuale solo nel Seicento. Invece il grande e ben visibile rilievo del San Cristoforo, sul contrafforte del transetto appartiene al programma originale.
La maggior parte delle sculture è costituita da elementi ornamentali, plutei di amboni, patere e altri rilievi con animali, pezzi accostati in modo più o meno decorativo. Nella maggior parte dei casi non viene fatto neanche il tentativo di dar loro un significato specifico; altre icone acquistano invece una nuova funzione come parti di un programma. Fra queste vanno considerate: la Vergine orante con angeli; le rappresentazioni a figura intera degli Evangelisti Giovanni e Marco sull’architrave della Porta dei Fiori, che in certo modo costituiscono un pendant esterno delle figure di santi ‘custodi’ sulla Porta della Madonna, all’interno dell’atrio; due Arcangeli con spada e lancia. Tutte queste figure scolpite formano un gruppo di icone destinate alla preghiera al quale appartiene anche la personificazione della Fortuna nell’arcata ad Est della Porta dei Fiori.
Oltre a queste icone ed elementi ornamentali, che trovano qui una collocazione diversa da quella per la quale sono stati ideati, sulla facciata Nord si trovano due complessi decorativi iconograficamente coerenti: il programma figurativo della Porta dei Fiori, e una specie di processione di figure a mezzo busto sopra descritta. Tutte queste figure sono state scolpite senza dubbio espressamente per la loro attuale collocazione.

Il profilo delle facciate della basilica è cinto in alto da una vera e propria corona di marmi bianchi, che conferisce all’edificio un’aerea e fragile conclusione tardo gotica.
Le volte estradossate di tipo bizantino sono inscritte in archi inflessi (nei pennacchi che ne risultano trovano posto busti di santi), che esternamente recano grandi e frastagliate foglie mosse dal vento, alternate a busti di Profeti. In cima a ognuno di questi archi sta la statua di un santo venerato a Venezia o della personificazione di una Virtù.
Al centro della facciata principale corrisponde un arco più ampio, sormontato da un profilo esterno più slanciato. Nello spazio intermedio, entro un cielo stellato, vi è un leone di San Marco, riproduzione ottocentesca in ghisa di quello originale distrutto nel 1797. Questa cuspide, più significativa, è sormontata dalla statua dell’evangelista cui è consacrata la chiesa, mentre lungo il suo profilo stanno sei angeli adoranti, dalle ali dorate.
Fra un arco e l’altro sono poste delle alte edicole gotiche (quella dell’angolo nord-ovest, che contiene anche una campana, è datata 1384 e segna l’inizio dei lavori a questa parte della chiesa). Ognuna delle edicole contiene una statua: alle due estremità della facciata ovest stanno l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata, ripetendo la disposizione delle lastre a rilievo nella parte bassa della facciata, con allusione al capodanno veneziano e alla mitica origine della città il 25 marzo 421; nelle quattro edicole della facciata occidentale stanno i quattro Evangelisti; in quelle della fiancata settentrionale i Padri della Chiesa; e a suddue santi (Antonio Abate e Paolo eremita).

Sotto alle quattro edicole centrali del lato ovest e a quelle dei lato nord stanno delle robuste figure umane, che reggono degli otri, costrette entro l’angusto spazio delle nicchie ricavate nei pennacchi: si tratta dei cosiddetti doccioni o ‘garguglie’, che un tempo dovevano davvero convogliare l’acqua piovana dai retrostanti tetti, evocando il concetto dei Fiumi del Paradiso (altri quattro Fiumi, oggi ridotti a due, si trovavano nella parte inferiore, duecentesca, della facciata ovest). Alla stessa fase appartengono anche gli altorilievi dell’arcone attorno alla finestra centrale, dietro i cavalli: l’intradosso contiene i quattro Patriarchi dell’Antico Testamento e i quattro Evangelisti entro baldacchini, mentre sul fronte sono rappresentati, entro formelle esagonali alternate a racemi, fatti dell’Antico Testamento.
Il grosso della decorazione scultorea – in cui compare fra l’altro anche marmo di Carrara – deve essere avvenuto in concomitanza con le due documentate forniture di marmo da Lucca nel 1414 e 1419, che ci fanno conoscere anche i nomi degli artisti probabilmente a capo dell’impresa, e cioè nel 1414 Paolo e Jacobello dalle Masegne e nel 1419 Niccolò di Pietro Lamberti da Firenze.
Della prima fase dei lavori – veneziana – sono le statue nelle edicole; della seconda – toscana – il San Marco al centro della facciata ovest e soprattutto i rilievi dell’arcone centrale, pieni di citazioni ghibertiane. Fra gli scultori toscani che qui lavorarono c’è anche Nanni di Bartolo, cui sono stati attribuiti tre dei doccioni della facciata nord mentre non è confermabile che vi abbia operato Jacopo della Quercia, come è stato ipotizzato.
Quattro figure di santi (Costantino, Demetrio, Giorgio,Teodosio) cadute in un terremoto nel 1511 vengono sostituite nel 1618 da Giorgio Albanese.

La facciata meridionale, che dà verso il mare, è ricca di accenti trionfali:
– i pilastri detti acritani ma provenienti da Costantinopoli;
– il gruppo di porfido dei Tetrarchi;
– la Pietra del Bando, su cui, secondo antiche cronache, venivano poste, per ordine della Serenissima, le teste mozzate dei traditori della Repubblica e vi rimanevano per tre giorni e tre notti e i trofei sulla parete meridionale del Tesoro.
Tutto ciò è destinato ad abbagliare con la potenza e lo splendore di Venezia chi viene dal mare, gli stranieri e coloro che ritornano da lontano. Questa facciata subisce però trasformazioni assai più profonde delle altre due nel corso nel Trecento, quando un tratto dell’atrio viene adattato a battistero, e infine all’inizio del Cinquecento, quando l’atrio sud con la porta da mar viene trasformato in cappella sepolcrale per il cardinale Giovanni Battista Zen (Cappella Zen). La porta da mar, di cui non esistono immagini, consentiva ai veneziani di recarsi in chiesa dalla testa meridionale dell’atrio direttamente dal mare, dato che il perimetro dell’attuale Palazzo Ducale era anticamente circondato dall’acqua della laguna attraverso un largo canale.
Gli elementi rimasti dell’antico portale, sono due leoni e quattro profeti, collocati in seguito nella Cappella Zen, e due grifoni.

L’arco del portale del tardo Duecento è orlato da racemi abitati dalle teste (protomi) di dieci profeti e di due santi vescovi. La sommità dell’arco è coronata dalla figura del Pantocratore. Tale mescolanza di profeti e santi è curiosa e altrove praticamente introvabile. Questo accostamento può venir considerato come specificamente veneziano, in quanto a Venezia la venerazione per i profeti è equiparata a quella per i santi della Chiesa. Oggi però l’interpretazione del messaggio originario dell’arco è difficile in quanto sono identificabili con sicurezza solo quattro nomi (Mosè, Simeone, Abacuc e Daniele).
Un’unità decorativa a sé stante è costituita dal complesso del Tesoro, sulla cui facciata a Sud sono stati sistemati numerosi rilievi bizantini con funzione puramente ornamentale e senza alcun significato iconografico; un’aggiunta più tarda trecentesca, è lo zoccolo di questa facciata con il rilievo zooforo e l’iscrizione ‘veneziana’ che costituisce una assoluta rarità linguistica.

Nella facciata occidentale predominano i contenuti, conformemente alla funzione ufficiale della facciata sulla piazza, quella cioè di frontespizio al testo che trova un’ampia formulazione nei mosaici dell’interno.
Un frontespizio che non solo è un sommario del contenuto, ma che sancisce pretese, che invoca protezione, che insiste sul possesso delle reliquie di San Marco, che parla di trionfo, di dominio e di ricchezza, che ammonisce a seguire le virtù etico-religiose (personificazioni delle virtù) e gli ideali e le norme della convivenza civile (rappresentazioni dei mesi e dei mestieri). La raffigurazione principale e centrale è quella del Giudizio Finale, la cui terribile severità è mitigata dall’accenno alla redenzione nella Passione, Morte e Resurrezione di Cristo delle lunette ai lati. La Storia delle reliquie di San Marco, i Misteri relativi alla vita di Cristo e il Giudizio Finale sono raffigurati in mosaico, le altre parti del programma consistono di cicli scultorei.
La facciata è divisa in due ordini dalla terrazza da cui si affaccia la copia della quadriga marciana, ora conservata all’interno del Museo di San Marco.
In ciascuno dei due ordini si aprono cinque grandi arcate che nella parte inferiore corrispondono ai quattro ingressi verso l’atrio (partendo da sinistra: Porta di Sant’Alipio, Porta di San Pietro, Portale Maggiore, Porta di San Clemente) e alla finestra della cappella Zen.
Nel rivestimento marmoreo del XIII secolo sono incastonate alcune lastre bizantine scolpite, che vanno lette in pendant sui due lati del portale maggiore nel quale si trovano due santi guerrieri. San Giorgio e San Demetrio, a difesa del male. La successiva tavola a destra con l’arcangelo Gabriele si accompagna a quella della Vergine a sinistra per formare l’Annunciazione, che allude alla leggendaria fondazione di Venezia il 25 marzo del 421(giorno dell’Annunciazione).

Infine le due tavole con le fatiche di Ercole alle estremità della facciata sono un esempio di come durante il Medioevo i temi pagani si trasformano in temi cristiani: il racconto mitologico di Ercole vittorioso sulla forza animale diventa un’allegoria della salvezza cristiana. L’Ercole col cinghiale di Erimanto, l’angelo Gabriele e San Demetrio sono pezzi di importazione bizantina del V, del XII e dell’XI secolo, mentre gli altri rilievi sono opere veneziane del XIII secolo.
Specificamente veneziano è anche il secondo gruppo di opere della facciata occidentale, costituito dai rilievi per metà ornamentali e per metà figurativi che incorniciano i quattro portali laterali. Qui al bassorilievo, che già di per sè deriva da forme bizantine, si aggiunge il fondo di mosaico dorato; tuttavia il contenuto di questa cornice decorativa non appare molto significativo, soprattutto ora che i testi sui cartigli dei Profeti sono leggibili solo in piccola parte. In particolare le protomi degli Angeli dei portali di destra fanno l’effetto di riempitivi puramente ornamentali.
Come nucleo a sé vanno considerate le sculture dei tre sottarchi che contornano il portale maggiore, capolavoro di artisti veneziani del XIII secolo formati alla scuola bizantina e gradualmente aperti ad influssi occidentali padano-francesi.
In questa decorazione si sono conservati alcuni resti di un assetto precedente della facciata, dell’XI o del primo XII secolo, pezzi isolati che sembrano quasi smarriti o dimenticati, altri invece hanno ottenuto un nuovo valore iconografico, come il gruppo scultoreo del Sogno di San Marco, che in origine raffigura il Sogno di Giuseppe alla vigilia della fuga in Egitto. Viene trasportato nella sua sede attuale alla fine del XIX secolo, acquistando così un significato nuovo e di importanza centrale, come rappresentazione del sogno nel quale San Marco apprende da un angelo che Venezia un giorno avrebbe accolto le sue reliquie.
Oltre agli elementi scultorei ereditati dalla facciata più antica, abbiamo i pezzi di spoglio che vengono integrati nel programma decorativo duecentesco e che si sono amalgamati così bene alle opere scolpite per la facciata occidentale, da non sembrare quasi più estranei.
I ‘trofei ornamentali’ costituiscono una piccola parte della decorazione scultorea, tra i più significativi troviamo la testa in porfido di un imperatore bizantino, più tardi considerata come testa del Carmagnola.

Il portale maggiore della basilica presenta una struttura complessa: si compone di tre arconi, disposti a scalare, decorati ognuno nell’intradosso e nella fronte di bassorilievi.
La critica più recente ritiene che l’insieme sia stato progettato in un solo momento ed eseguito in tempi relativamente brevi: circa un decennio attorno alla metà del XIII sec. Le discrepanze formali e stilistiche sono imputabili al fatto che più mani hanno lavorato alla decorazione del portale.
Intradosso del primo arco

Il rilievo dell’intradosso più interno ritrae due figure accovacciate, identificabili con Satana e la Lussuria, una coppia consueta nell’iconografia romanica, da cui si diparte un tralcio di vite mischiato a melograno che circonda semplici raffigurazioni: animali, combattimenti, favole (la volpe e l’uva) e Sansone in lotta con il leone. Anche nell’archivolto del primo arco interno vediamo motivi di combattimenti fra animali affiancati da scene di caccia; in alcuni casi non è possibile determinare neanche le azioni delle figure (bambini, uomini, donne, un centauro) e di conseguenza il loro significato. Parecchie figure non fanno altro che piegare, spezzare e strappare i racemi che le circondano. Il Diavolo, la Lussuria e le bestie, alludono al male che domina il mondo, sull’archivolto sono esemplificati i comportamenti viziosi ambientati nella ‘selva oscura’ che per l’uomo medievale è la vita, sia attraverso l’allegoria della caccia che attraverso la rappresentazione di azioni ignobili.
I mesi, le virtù e le beatitudini

I rilievi dell’arco successivo raffigurano allegorie dei principi umani e religiosi che reggono il mondo cristiano, sull’intradosso le allegorie dei dodici mesi accompagnate dai segni dello Zodiaco, sull’archivolto diciassette personificazioni di Virtù e di Beatitudini.
La combinazione delle immagini dei mesi e di quelle dei segni dello Zodiaco è diffusa sia in Oriente che in Occidente. L’iconografia delle singole raffigurazioni – le attività tipiche dei vari mesi dell’anno – presenta caratteristiche più bizantine che occidentali. Tipicamente bizantine sono l’immagine di Marzo in forma di guerriero in armi e quella di Aprile in forma di pastore con l’agnello sulle spalle. Visto nel suo complesso, il ciclo di San Marco non è identico a nessun altro, nè da un altro si può far derivare.
Il ciclo delle Virtù e Beatitudini della fronte dell’arco è opera di vari autori, come tutte le parti successive del portale, dove si nota sempre come i rilievi posti dalle due parti in basso sono stati affidati alle mani più esperte dei maestri, mentre nella parte più alta, più lontana alla vista, la qualità scade per l’intervento della bottega. Il modello per il ciclo della Virtù è il mosaico della cupola centrale, databile al tardo XII secolo, dove un tema di origine occidentale è tradotto in uno stile vagamente bizantineggiante, viceversa qui la fonte musiva viene ritradotta in un idioma occidentale.
I mestieri veneziani
La decorazione interna del terzo arco che incornicia il mosaico del Giudizio Finale è la parte più veneziana di tutto il programma decorativo delle facciate di San Marco. Al posto delle artes liberales delle cattedrali francesi sono qui subentrate le raffigurazioni dei mestieri veneziani.
A San Marco le rappresentazioni dei Mestieri costituiscono uno degli elementi principali della decorazione figurativa della facciata.
Il nesso fra la rappresentazione del Giudizio Finale e i rilievi con i Mestieri che lo incorniciano rimane piuttosto vago, anche volendo interpretare queste immagini realistiche e per nulla allegorizzanti come exempla di buona condotta. In realtà sono più che altro espressione di orgoglio civico e autocelebrazione del populusveneziano. Anche qui si trovano suggestioni derivanti dai mosaici dell’atrio.

Rispetto al vigoroso realismo del ciclo dei Mestieri, la decorazione dell’archivolto dello stesso arco rappresenta una netta caduta di tono, non dal punto di vista formale, ma da quello tematico. Essa è costituita da una delle tante serie di Profeti di San Marco (compresi i mosaici dell’interno, le serie dei Profeti sono nove). Qui però le figure sono quasi soffocate dai voluminosi racemi che le incorniciano; inoltre la totale mancanza delle iscrizioni che un tempo sicuramente si trovavano sui cartigli rende impossibile l’interpretazione dei singoli personaggi e delle loro profezie. Si può comunque supporre che queste ultime avessero attinenza col Giudizio Finale.
L’opera in cui il virtuoso talento della maestranza ‘da cattedrale’ di San Marco raggiunge il vertice, il rilievo dell’archivolto dell’arco esterno del portale, è anche la più danneggiata dagli agenti atmosferici.
E’ difficile distinguere le mani. Tuttavia è sicuro che qui oltre al Maestro dei Mestieri è stato attivo anche il Maestro di Ercole o uno dei suoi migliori collaboratori: soprattutto le fisionomie presentano strette affinità con le opere della sua cerchia.
L’arco dei Profeti costituisce l’opera più tarda e più matura fra le sculture della facciata occidentale; si tratta di arte puramente veneziana. Si può almeno supporre con una certa sicurezza che questa grandiosa opera sia stata realizzata abbastanza tardi, all’incirca fra il 1250 e il 1275, ma in ogni caso molto presto rispetto alla sorprendente modernità, ad esempio, dei tralci che si avvitano nello spazio. In questi elementi l’evoluzione dell’arte ornamentale veneziana sembra precorrere l’avvento del gotico fiorito.

La splendente quadriga di bronzo dorato giunge a Venezia con il ricco bottino di guerra raccolto dai Veneziani, guidati dal doge Enrico Dandolo, dopo la conquista di Costantinopoli al termine della IV Crociata nel 1204, insieme ad altre opere di valore inestimabile, molte delle quali sono conservate ancor oggi nel Tesoro della basilica.
La sistemazione dei cavalli sulla facciata della basilica, avviene probabilmente sotto il dogato di Ranieri Zeno (1253- 1268)

Il mosaico che decora la lunetta sul portale di Sant’Alipio, databile intorno al 1265, ci presenta già i cavalli issati sulla facciata nella posizione che conserveranno nei secoli e che sarà celebrata nelle immagini di tanti artisti veneziani a partire dalla grande tela di Gentile Bellini con la solenne Processione in Piazza San Marco (1496).
Francesco Petrarca è il primo a interrogarsi sulle loro origini; solo nel Rinascimento però si cerca di attribuire ai cavalli una paternità, accostandoli ai nomi dei grandi scultori greci, Fidia, Prassitele e infine Lisippo.
Una più attenta lettura delle fonti e dei vari aspetti del gruppo si verifica solo nel ‘700, promossa soprattutto da G.G.Winckelmann, il fondatore dell’archeologia moderna. Si sostiene anche l’ipotesi che possa trattarsi di un’opera non greca, ma di età romana e la disputa su quest’attribuzione proseguirà nell’Ottocento e fino ai giorni nostri.
Nel dicembre del 1797, per la prima volta dopo oltre cinque secoli, i quattro cavalli abbandonano la facciata di San Marco per volere di Napoleone che li fa trasferire a Parigi. La quadriga, destinata a decorare il coronamento dell’arco trionfale del Carrousel, subisce varie aggiunte. Con la caduta di Napoleone, Antonio Canova viene incaricato del recupero e del trasporto in Italia delle opere trafugate.
Il 13 dicembre 1815, alla presenza di Francesco I d’Austria, nuovo sovrano di Venezia, i cavalli vengono restituiti alla facciata di San Marco. La preziosa quadriga in bronzo dorato, l’unica pervenuta dall’antichità, ha però subito notevoli danni, quindi prima della ricollocazione viene portata in Arsenale per essere restaurata. Altri interventi saranno necessari negli anni successivi, ed ancora la quadriga per due volte viene calata dall’arcone marciano per trovare riparo in un rifugio sicuro nel corso delle due ultime guerre mondiali.
Intorno agli anni sessanta i cavalli vengono sottoposti dall’Istituto Centrale del Restauro a una serie di indagini tecniche che ne constatano le precarie condizioni, ma vengono raccolti dati preziosi sulla storia e sulla morfologia di queste sculture. Appare però indispensabile per la futura conservazione il ricovero dei cavalli all’interno del museo marciano e la collocazione di copie all’esterno sull’arcone.
