Il museo di San Marco

Il Museo, istituito alla fine dell’800, occupa gli spazi sopra il nartece della basilica e l’ex Sala dei Banchetti del doge.

Tra le opere più prestigiose vi è conservata la Quadriga Marciana, qui collocata dopo l’ultimo restauro, e la Pala feriale di Paolo Veneziano, tavola lignea della metà del XIV secolo usata anticamente per coprire la Pala d’oro.

Sono inoltre esposti tappeti persiani, paramenti liturgici, codici miniati con i testi delle liturgie marciane, arazzi in lana con le storie della Passione di Gesù, arazzi in seta e argento con le storie di San Marco, oltre che frammenti di mosaici antichi staccati durante i restauri ottocenteschi e frammenti di sculture.

Si invita a consultare il sito ufficiale del Museo di San Marco che ne illustra la storia, le opere e gli spazi espositivi.

Il Museo

Il 12 maggio 1797, conclusa la millenaria storia della Repubblica Serenissima, la basilica di San Marco, abbandonata la funzione di cappella ducale, diviene la nuova cattedrale di Venezia.

Scomparsa la figura dei Procuratori di San Marco il governo della basilica viene affidato alle cure della Fabbriceria di San Marco, che si occuperà da questo momento in poi della conservazione del monumento.

Le sontuose opere di arazzeria fiamminga e medicea, i paliotti d’altare, i tappeti persiani e altre suppellettili, per secoli e secoli protagonisti indiscussi dell’apparato fastoso e raffinato delle celebrazioni presiedute dal doge, perdono la loro funzione e vengono relegati nel buio dei depositi.

Si deve a Ferdinando Ongania, illuminato editore dell’opera La basilica di San Marco in Venezia, l’idea di pubblicare un catalogo delle opere del Tesoro di San Marco, affidandone la cura al canonico Antonio Pasini. Nasce così la raccolta di 93 tavole, stampate parte in eliotipia e parte in cromolitografia, che compone il cosiddetto Portafoglio del Tesoro, edito nel 1885. Strada facendo, però, l’Editore decise di corredare le illustrazioni con un testo per illustrare la storia e la provenienza di ogni singola opera, dandone nuovamente incarico al Pasini. L’imponente lavoro di ricerca viene pubblicato nel 1887 con il titolo Il Tesoro di San Marco in Venezia illustrato da Antonio Pasini canonico della Marciana.

Come si evince dalle tavole e dal testo, fino a questa data tutto ciò che di prezioso esisteva in basilica, ovvero arredi, tessuti e oreficerie, andava a comporre il “Tesoro di San Marco”.

La grande preziosità delle opere che Pasini mette in luce, spinge Pietro Saccardo, fabbriciere dal 1861 e in seguito proto di San Marco dal 1887, a definire il progetto di un museo della basilica, in cui ordinare ed esporre al pubblico le opere d’arte che avevano fatto parte dei preziosi arredi della chiesa ducale.

A Saccardo stavano particolarmente a cuore “i preziosi arazzi, tappeti, merletti ecc.” che “stavano ammonticchiati in rozzi armadi nelle soffitte della Sagrestia”, individuando nelle stanze sopra il nartece, nell’ala nord-ovest della basilica il luogo adatto per la loro esposizione; vennero qui riuniti anche sei corali miniati, pitture, sculture e frammenti di mosaici. Il Museo ideato da Saccardo non venne mai aperto al pubblico, per quanto su richiesta, e previa autorizzazione della Fabbriceria, venisse sovente dischiuso per i visitatori più interessati.

Il crollo del Campanile nel 1902 annullò gli sforzi di Saccardo, e i gravi problemi statici della basilica, aggravati ulteriormente dai drammatici eventi della prima guerra mondiale imposero una sospensione dei lavori nel Museo.

È grazie a Luigi Marangoni, dapprima “ingegnere aggiunto” al proto Manfredi dal 1904 al 1910, e successivamente proto fino al 1948, che il 16 maggio 1927, con grande impegno finanziario della Fabbriceria, il Museo viene finalmente aperto al pubblico. Per i successivi trent’anni la collezione di opere esposta non subì variazioni di rilievo, salvo l’aggiunta nel 1937 della pala d’altare in mosaico rappresentante San Vittore martire dei fratelli Francesco e Valerio Zuccato.

Nel giugno del 1940 l’entrata in guerra dell’Italia nella seconda guerra mondiale impose la chiusura del Museo e il trasferimento di tutte le opere a Carceri. Finita la guerra il Museo viene nuovamente aperto al pubblico il 13 aprile del 1946.

Nel 1953 il proto di San Marco Ferdinando Forlati suggerì alla Procuratia la nomina di una Commissione Consultiva a cui affidare lo studio di un nuovo allestimento museale.

La Commissione propose la demolizione delle pareti di separazione fra le tre stanze costituenti il Museo, in modo da realizzare un unico ampio ambiente a forma di “elle” e la sostituzione del pavimento di legno con uno di mattonelle in cotto. Ritenendo inoltre insufficiente lo spazio così ottenuto propose di ampliare il museo occupando anche i locali rivolti a sud, sede dello Studio di mosaico, il quale venne dapprima trasferito in alcuni ambienti al piano terra del Palazzo ducale adiacenti alla basilica, in seguito nella ex Chiesetta di San Nicolò dove tuttora trova sede.

Tutti i locali coinvolti vennero privati dei vecchi intonaci, lasciando scoperta la muratura di pareti, volte e cupole per meglio evidenziarne l’architettura, simile nella lavorazione a quella del sottostante nartece. Vennero però lasciati in opera alcuni lacerti di intonaco che presentano disegni e scritte risalenti al XV secolo, eseguiti dai maestri di mosaico che in quegli anni utilizzavano quelle stanze come loro laboratorio. È Francesco Valcanover, soprintendente alle Gallerie, ad aver curato il nuovo allestimento delle opere, alle quali aggiunse la Pala feriale, il capolavoro di Paolo Veneziano da poco restaurato, sostituito sul retro della Pala d’oro dalla copertura di Francesco de’ Franceschi. Inoltre furono esposti al pubblico numerosi frammenti di mosaico rimasti fuori d’opera, staccati nel corso di passati restauri e conservati nei depositi, mentre i quattro grandi dipinti di Gentile Bellini che un tempo decoravano l’organo della basilica vengono trasferiti sulle pareti della ristrutturata chiesetta di San Teodoro, altro importante intervento del proto Forlati.

L’inaugurazione del Museo e della Chiesetta di San Teodoro avviene l’8 dicembre del 1961, festa dell’Immacolata, alla presenza del patriarca cardinale Giovanni Urbani.

Sul finire dello stesso 1961 Bruna Tamaro Forlati, soprintendente alle Antichità del Veneto, segnalò la sua preoccupazione per lo stato di conservazione della quadriga marciana. Da tale allarme presero le mosse de le delicate operazioni di restauro della Quadriga, che si svilupperanno nel corso del decennio successivo. L’ambiente più adatto per tutte le operazioni viene individuato nell’ambiente dell’angolo nord-occidentale del museo, in quanto il più vicino alla loggia esterna.

Il restauro e la definitiva collocazione dei quattro cavalli all’interno del museo hanno comportato significative modifiche all’allestimento della grande sala nord-ovest, con lo spostamento e la rimozione di numerose opere esposte. In questa occasione la Procuratoria di San Marco, sotto la guida di Alberto Cosulich prima e di Feliciano Benvenuti poi, ha avuto modo di organizzare e successivamente di realizzare una grande campagna di restauri che ha occupato l’ultimo ventennio del ‘900.

L’8 ottobre del 1994 ha segnato l’inizio del centenario marciano, dando vita a importanti iniziative pastorali, convegni e mostre, per celebrare i novecento anni della dedicazione della basilica

L’8 ottobre del 2003 venne inaugurato l’ultimo allestimento del Museo di San Marco, alla presenza del patriarca cardinale Angelo Scola, del primo procuratore Giorgio Orsoni e, numerosissimi, degli «amici» di San Marco. I quasi mille metri di spazio espositivo, che si sviluppano lungo le sale soprastanti i lati sud, ovest e nord del nartece, nel passaggio in chiesa nel matroneo dell’Albero della Vergine e nell’ampia Sala dei banchetti costituiscono il punto d’arrivo di tante idee, progetti e allestimenti susseguitisi nel corso di oltre un secolo.

L’attuale percorso si snoda in tre sezioni: i mosaici, i tessili, «l’antico».

Nella sezione dedicata ai mosaici l’esposizione delle numerose “cassine”, frammenti di mosaico raccolti dapprima in cassette di legno e in seguito in ottone, provenienti sia dal Battistero che dalla Cappella Zen, ha permesso di evidenziare sia le antiche tecniche di lavorazione di mosaico che quelle più recenti di restauro.

Lungo il percorso che conduce alla sezione dei tessili si possono ammirare alcune novità di quest’ultimo allestimento: superata la piccola scala che conduce al matroneo nord della chiesa, in posizione elevata è posizionata la Madonna in terracotta dorata, realizzata da Jacopo Sansovino per la loggetta del campanile. Polverizzata sotto il crollo del campanile mostra ora tutto il suo fascino, dopo i restauri novecenteschi che hanno ricomposto gli innumerevoli frammenti in cui si era spezzata.

Proseguendo lungo il percorso si possono ammirare le due pale d’altare in mosaico, il San Vittore martire dei fratelli Zuccato del 1559 e La carità del beato Pietro Acotanto di Pietro Monaco del 1766, entrambe provenienti dalla distrutta chiesa parrocchiale di Santa Maria Nova. Si giunge poi alla piccola Sala Ongania, così chiamata per la presenza di dipinti e disegni originali dell’apparato illustrativo della grande opera ottocentesca sulla basilica realizzata dall’editore veneziano Ferdinando Ongania.

Nell’ambiente climatizzato della sala dei Banchetti, sono esposti preziosi dipinti come l’antica tavola della Madonna del latte realizzata fra il XIII e il XIV secolo, e la Pala feriale di Paolo Veneziano del 1345, oltre ai sette graduali quattro-cinquecenteschi splendidamente miniati, documenti di assoluta importanza per la tradizione liturgico-musicale marciana. Ma la Sala è dedicata alla sezione dei “tessili”: gli arazzi fiamminghi quattrocenteschi provenienti dal lascito del Cardinale Zen, i quattro arazzi quattrocenteschi del ciclo della Passione di Cristo, i quattro arazzi cinquecenteschi di manifattura medicea rappresentanti le Storie di San Marco, i due paliotti dogali cinquecenteschi e i cinque splendidi tappeti persiani del XVII secolo.

La quadriga marciana è infine il punto d’arrivo della terza sezione e di tutto il percorso museale. Ai cavalli, unico stupendo esempio della statuaria classica sulla cui datazione e origine gli studiosi si stanno dibattendo da lungo tempo, si arriva lungo l’esposizione di una serie di frammenti lapidei e di alcuni capitelli di epoca tardoantica e medio bizantina, rimasti fuori opera in occasione dei restauri ottocenteschi. Anche per i marmi si è inteso offrire al visitatore la possibilità di godere a distanza ravvicinata della vista di alcuni esempi delle antiche lastre marmoree scolpite e dei capitelli che rivestono e adornano l’interno e l’esterno della basilica.

I quattro cavalli, presenti fino al 1977 sulla loggia della basilica, dopo un meticoloso restauro, per esigenze di conservazione sono stati ricoverati in museo nel 1982, e sostituiti sulla loggia da riproduzioni bronzee.

Il gruppo, unico esempio di tiro a quattro a tutto tondo pervenuto dalla statuaria antica, è stato realizzato mediante fusione a cera persa con il metodo cosiddetto indiretto, in una lega ad altissima percentuale di rame (tra il 96,67% e il 98,35%), funzionale al procedimento adottato per la doratura a mercurio. I graffi sulla superficie vennero forse prodotti intenzionalmente, per attenuare l’eccessivo riflesso della luce solare.

La datazione della quadriga resta ancora incerta. Alcuni studiosi propendono per una sua collocazione tra la seconda metà del II e gli inizi del III secolo d.C. nell’età romana imperiale, mentre in precedenza la datazione ha oscillato tra il IV secolo a.C. e il IV secolo d.C., per quanto l’analisi con il carbonio 14 riconduca all’inizio del II secolo a.C.

Si ipotizza che i cavalli provengano dall’ippodromo di Costantinopoli, inviati a Venezia dal doge Enrico Dandolo quale bottino di guerra in occasione della IV crociata.

Dopo la caduta dell’impero latino nel 1261 vennero collocati sulla loggia della basilica con ampia valenza semantica, con significato politico, simbolo di eredità del potere imperiale di Bisanzio, e religioso quale immagine della Quadriga Domini, allegoria della diffusione della Parola divina attraverso l’opera dei quattro evangelisti.