L'Antico testamento

La ricchezza che i mosaici del nartece racchiudono consiste soprattutto nel messaggio spirituale a loro assegnato. Questi mosaici segnano il tempo dell’attesa della venuta di Gesù, seguendo il filo che individua le fasi della storia della salvezza, dopo la caduta degli uomini, prima del suo compimento in Cristo, la cui vita e i cui misteri sono celebrati nei mosaici dell’interno.

Dall’angolo sud-occidentale, a destra, ha inizio un ampio racconto dei grandi eventi dell’Antico Testamento, scelto dai libri della Genesi e dell’Esodo che si sviluppa lungo i lati ovest e nord.

Il primo è il cupolino della Creazione scandito in tre fasce circolari concentriche attorno ad una decorazione a scaglie dorate al centro.

Il racconto è suddiviso in ventisei scene sopra le quali corre il testo biblico in latino che inizia con le parole: In principio Dio creò il cielo e la terra. Lo spirito di Dio aleggiava sopra le acque.

 

Seguono in successione le giornate della Creazione, in ciascuna delle quali è presente la figura di Dio creatore identificata, secondo l’iconografia orientale, nel Cristo giovane dall’aureola crociata e dalla croce astile. Parola vivente del Padre, e con Lui fin dall’origine creatore dell’universo, come si legge all’inizio del Vangelo di Giovanni.

I sei giorni della Creazione sono raccontati nelle scene delle due fasce più interne: il primo in cui Dio separa la luce dalle tenebre, il secondo in cui separa le acque dalle terre emerse, raccogliendo le acque superiori nel cielo e le inferiori fra le terre, il terzo in cui fa germogliare sulla terra ogni specie di piante, il quarto in cui pone nel cielo il sole e la luna per illuminare il giorno e la notte, il quinto in cui popola di pesci le acque e di volatili il cielo e crea gli animali della terra, qui presenti a coppie: primi i leoni, poi le tigri, i leopardi, gli elefanti, 

i giumenti e tutti gli altri, e il sesto in cui Dio dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Ogni giorno la figura di un angelo si aggiunge all’opera del creatore.

Poco comune nelle raffigurazioni della creazione, e perciò di grande interesse, è la scena della Benedizione del settimo giorno. Dio, assiso su un trono circondato dai sei angeli dei primi sei giorni, come da una corte regale, pone la mano benedicente sul settimo angelo, figura del sabato, che egli ha riservato per sé. Al di sopra corrono le parole bibliche: “E Dio benedisse il settimo giorno”. Al di sotto la Creazione di Eva dalla costola di Adamo, la Tentazione del serpente, la Disobbedienza dei progenitori al comando di Dio e la Cacciata dal Paradiso terrestre concludono la fascia inferiore del cupolino.

Cherubini, posti da Dio a custodia del Paradiso terrestre, sono raffigurati nei sottostanti pennacchi. Sugli archi e sulle lunette circostanti, presso la porta di San Clemente, continua il racconto biblico: la Nascita di Caino e Abele e il Delitto di Caino, inizio di un male che dilagherà tra gli uomini fino alla loro distruzione totale con il diluvio. Soltanto Noè, il giusto, la sua famiglia e gli animali da lui scelti si salveranno (sottarco verso il portale centrale). Le storie di Noè continuano nel sottarco successivo oltre il portale, dove è anche raffigurata la Costruzione della torre di Babele e la Condanna della superbia degli uomini.

Negli altri cupolini dell’atrio, le scene si sviluppano in una sola fascia alla base, senza interruzioni.

Il secondo cupolino e le lunette presso la porta di San Pietro narrano le storie di Abramo, progenitore di una discendenza scelta da Dio per essere salvata. Dio a colloquio con Abramo è raffigurato da una mano all’interno di uno spicchio di cielo. La scena si ripete quattro volte suddividendo in quattro parti la sequenza del racconto.

Occupano i tre successivi cupolini, nel lato settentrionale del nartece, le storie di Giuseppe ebreo, l’interprete dei sogni, il giusto sofferente. Dopo essere stato venduto dai fratelli e ingiustamente condannato dagli egiziani, entra nelle grazie del faraone e diviene salvatore per il popolo d’Egitto e per gli stessi suoi fratelli che lo hanno tradito.

La decorazione del nartece trova la sua splendida conclusione nel cupolino di Mosè, il capolavoro dell’ultima generazione dei mosaicisti veneziani del XIII secolo. Le scene si seguono ininterrotte, ricche di figure, non più stagliate singolarmente nell’oro, ma inserite in articolati spazi naturali e in fastose architetture. Vi è raffigurata la storia di Mosè che, salvato dalle acque del Nilo, diviene salvatore e guida del suo popolo lungo il deserto e attraverso il mar Rosso verso la terra promessa. Mosè è figura di Gesù, il Salvatore di tutti gli uomini, presente in braccio alla Vergine Madre tra i due 

evangelisti Marco e Giovanni nel mosaico del semicatino sopra la vicina porta.

Contornano il portale maggiore, entro nicchie di diverse dimensioni, le figure a mosaico della Vergine con il Bambino tra otto apostoli nel registro superiore e i 4 evangelisti in quello inferiore. Appartengono alle realizzazioni musive più antiche, forse degli ultimi anni dell’XI secolo, e sono attribuite all’opera di mosaicisti greci, termine che ne indicava genericamente la provenienza dall’area bizantina, ricordati nelle antiche cronache veneziane.

Superato il portale ed entrati nello spazio sacro della basilica, i mosaici dorati, che avvolgono la parte superiore dell’architettura, sono sicuramente l’aspetto più coinvolgente per il senso di unitarietà che donano all’interno e per i loro richiami orientali, come il significato simbolico dell’oro, colore del Divino.

Nel nartece sono presenti le sepolture di Vitale Falier, (1084-1096) il doge che nel 1094 consacrò la chiesa e depose in cripta il corpo di San Marco; della dogaressa Felicita Michiel († 1101), del doge Marino Morosini (1249-1253), del doge Bartolomeo Gradenigo, (1339-1343) e del primicerio Bartolomeo Recovrati (†1420).